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Periodico in rete: Direttore  Enrico Hell

 

 

 

Joaquim Arnau Querol naix a Rossell (el Baix Maestrat). Mestre d'Ensenyament Primari, Llicenciat en Filosofia i Lletres, Diplomat en Psicologia Aplicada i Doctor en Filosofia i Lletres. Actualment és professor Titular d'Universitat, adscrit al Departament de Psicologia Evolutiva i de l'Educació de la Universitat de Barcelona, del qual ha estat Secretari i Director. A més, és Vicedegà de la Facultat de Psicologia de la Universitat de Barcelona i Director de l'Associació-Institut Europeu de Programes d'Immersió de Catalunya, València i Illes.
Ha participat en nombrosos congressos i ha realitzat un munt de publicacions entre els quals destaquen els seus treballs adreçats a l'escola i la immersió lingüística.

 

INTERVISTA a Joaquim Arnau

Joaquim Arnau Querol, psicolinguista, tiene le sue lezioni presso il dipartimento di psicologia evolutiva e dell'educazione dell'Università di Barcellona. L'immersione linguistica è uno dei suoi oggetti di studio, in una realtà, come quella della Catalogna, che ha fatto dell'immersione lo strumento principale per raggiungere l'obiettivo del pieno bilinguismo di tutti gli abitanti della regione.

Prof. Arnau,che cosa possiamo fare a Bolzano per raggiungere l'obiettivo del bilinguismo?

"La prima cosa da fare è raggiungere il pieno bilinguismo degli insegnanti. La formazione bilingue degli insegnanti è un punto fondamentale della politica linguistica. Le autorità e le leggi devono consentire e favorire questa formazione bilingue: questo vale sia per la formazione iniziale che per la formazione degli insegnanti già in servizio.

Come hanno reagito gli insegnanti monolingui in Catalogna, quando si è chiesto loro di diventare bilingui?

A Barcellona i professori hanno sempre aderito ai corsi di formazione, organizzati per loro, perché hanno compreso che questo era quello che voleva la gente e questo era quello che volevano i politici. Oggi tutti gli insegnanti sono bilingui in Catalogna: chi non conosceva il catalano lo ha imparato e ora sa insegnare in catalano anche ai ragazzi che parlano a casa lo spagnolo.

Ma come funzionano le scuole in Catalogna?

Alla fine del franchismo la Catalogna ha fatto una grande scelta, condivisa dalla gente: la scuola non doveva essere fonte di divisione tra i cittadini della Catalogna, i Catalani sono tutti catalani, indipendentemente dalla lingua catalana o spagnola che parlano a casa, indipendentemente anche dal fatto che siano nati in Catalogna o che provengano dalle altre regioni della Spagna. Così noi abbiamo optato per una scuola unica, quella catalana. Nella nostra scuola le materie sono svolte in catalano ma se i bambini a casa parlano solo lo spagnolo allora per loro si applica il programma di immersione. Immersione è un concetto didattico, non organizzativo: nei confronti dei bambini che non parlano il catalano a casa l'insegnante sa. che non insegna nella madrelingua e quindi usa una didattica particolare.

A Bolzano abbiamo un diverso modello scolastico, le scuole sono divise in base alla lingua degli alunni: è per questo che si fatica ad imparare le lingue?

Non per questo, ma perché bisogna cambiare il modo di insegnare la seconda lingua. La lingua deve essere usata nella scuola come strumento di interazione in un contesto di comunicazione, non può solo essere insegnata come oggetto di studio. Il linguaggio viene usato per creare relazioni tra persone, per raggiungere degli scopi anche immediati. Si può usare la lingua per chiedere un favore, per comunicare sentimenti, per esprimere stati d'animo, per rispondere a domande, per spingere qualcuno a fare qualcosa. Ma questo non avviene nell'insegnamento tradizionale della seconda lingua, dove viene perso questo valore strumentale della lingua e di conseguenza il suo valore comunicativo. L'insegnamento scolastico delle lingue oggi non lega la lingua alla comunicazione: è per questo che non funziona.

Meno grammatica e più comunicazione allora?

L'insegnamento grammaticale, cioè quello basato sulla riflessione sulla lingua, è inadeguato, ma sono inadeguati anche gli approcci di tipo strutturale, nei quali la sola attenzione è rivolta alle funzioni della lingua, ma al di fuori di una considerazione strumentale e comunicativa della lingua.

Prof. Arnau, secondo lei, perché gli studenti di lingua italiana di Bolzano non riescono ad imparare bene il tedesco nonostante tredici anni di studio della seconda lingua?

Probabilmente perché il tedesco è insegnato spesso in maniera non comunicativa. L'importante non è il numero delle ore, ma quello che si fa nelle ore di tedesco: se si adotta un modello di insegnamento classico allora l'insegnamento non funziona, se si creano necessità d'uso della seconda lingua l'insegnamento funziona e in maniera molto naturale.

Allora il problema della formazione degli insegnanti diventa centrale, prof. Arnau?

Certo bisogna insegnare ai docenti come insegnare la seconda lingua tedesca svolgendo le materie di insegnamento direttamente in tedesco. Così si raggiungono due obiettivi, quello dell'insegnamento comunicativo e quello di una buona didattica delle materie.

Molto potrà essere fatto come formazione iniziale all'interno della vostra futura Università, che ripeto, dovrà pensare soprattutto ad una formazione bilingue degli insegnanti. Altrimenti una nuova didattica della seconda lingua stenterà a decollare. Sarebbe negativo che l'Università continuasse a riproporre il modello di separazione che sta già alla base delle vostre scuole preuniversitarie.

Ma perché la minoranza catalana a cui Lei appartiene, non ha scelto di tutelarsi meglio con una propria scuola e ha invece preferito una scuola e una Università unica per tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro lingua? Non sentite il pericolo di una possibile assimilazione?

Laddove esiste una piena autonomia regionale, non c'è pericolo di assimilazione.

La nostra minoranza viene invece valorizzata dal pieno bilinguismo di tutti: per questo noi abbiamo posto il bilinguismo diffuso tra gli obiettivi primari della nostra scuola. Questo ci differenzia anche da situazioni come quella del Canada e delle Finlandia, dove si attua un insegnamento in immersione simile al nostro. In quei casi però il bilinguismo, o meglio il plurilinguismo, è inteso come una forma di arricchimento culturale ma non come obiettivo primario della scuola. In Catalogna si parlano più lingue, ma la lingua propria della regione è il Catalano, un po' come da voi si potrebbe dire che la lingua propria del Sudtirolo è il tedesco.

Ecco, la piena conoscenza della lingua propria della regione da parte di tutti i sui abitanti è il nostro obiettivo: in questo modo la Catalogna rafforza la propria identità e la propria lingua.

Che cosa potremmo fare in Alto Adige?

Con il vostro attuale modello scolastico vedo bene una forma generalizzata di immersione linguistica nel tedesco da attuarsi nelle scuole italiane, con un uso massiccio della lingua tedesca negli insegnamenti delle materie. Potreste farlo già a partire dalle scuole per l'infanzia e proseguire nella scuola dell'obbligo con il maggior numero possibile di materie in tedesco.

Molto sentito è il tema di un maggiore incontro tra le scuole dei due gruppi linguistici, con la richiesta di potenziare i gemellaggi e gli incontri tra i ragazzi delle scuole italiane e i ragazzi delle scuole tedesche

Gli incontri tra classi e gli scambi sono ottime occasioni di uso della seconda lingua, ma il punto fondamentale resta quello di una didattica della seconda lingua di tipo comunicativo, altrimenti anche i gemellaggi possono non funzionare. Il punto è di concentrare le energie sul cuore del problema e non solo sulle iniziative di contorno e il cuore del problema è l'uso veicolare della seconda lingua nelle materie scolastiche, la definizione di un vero e proprio programma di immersione linguistica.

1/12/2001