Convivenza fra popoli   Rassegna stampa
 

 

Ciampi: fate come in Alto Adige

IL MINISTRO DEL TESORO E LA CRISI NEI BALCANI
"Solo l'integrazione economica batte i nazionalismi"

intervista

Pierluigi Battista

(11 aprile 1999) Il ministro Carlo Azeglio Ciampi riceverà oggi a Genova il Premio "Primo Levi". E' il solo italiano a essere stato insignito di questo riconoscimento: dal 1991 il Centro Culturale "Primo Levi", ha premiato Elie Wiesel, Willy Brandt, Jacques Delors, Leah Rabin e Shimon Peres.

Presidente Ciampi, ora che con tanti sforzi si è fatta l'Europa economica, la guerra nel Kosovo mette drammaticamente in evidenza la fragilità dell'Europa politica.
"L'Europa politica è ancora troppo acerba ed auspico che quanto sta accadendo nell'ex Jugoslavia sproni i governi ad agire con più speditezza per unificare politicamente l'Europa. Però trovo superficiale la facile contrapposizione tra politica ed economia e tutta la storia europea del secondo cinquantennio di questo secolo dimostra che quella che si chiama ''economia'' è stato un fattore essenziale per rimuovere ciò che ha causato ben due guerre mondiali e lutti spaventosi".

Vuol dire che l'integrazione economica e gli scambi commerciali possono indebolire la tentazione al confronto cruento tra le potenze?
"Propongo semplicemente di riflettere sulla storia europea del Novecento. C'è una simbolica linea di demarcazione che divide in due il nostro secolo. Nella prima parte l'Europa ha conosciuto l'orrore del ''bagno di sangue'' in ben due conflitti bellici. Nella seconda parte sono state pazientemente rimosse le cause di quei conflitti e l'Europa è riuscita a superare gli elementi distruttivi e in grado di minacciarne la pace. Quando i grandi artefici dell'Europa, da Monnet a Schuman, da Einaudi a De Gasperi ad Adenauer, proclamavano con forza ''Mai più la guerra'' erano perfettamente consapevoli che non potevano limitarsi a sia pur nobili enunciazioni di principio, ma dovevano tentare di rimuovere i fattori che alimentavano le controversie. E infatti progettarono e nel 1951 attuarono la Ceca (la Comunità europea del carbone e dell'acciaio) perché sapevano per amara esperienza che il possesso dell'acciaio e del carbone nel bacino carbo-siderurgico a cavallo del confine franco-tedesco costituiva uno dei più pericolosi elementi di discordia che avrebbero potuto far conoscere all'Europa le stesse tensioni e le stesse distruzioni del passato. E non si fermarono lì: pensarono all'Euratom, posero le basi della Comunità economica europea. Crearono insomma quella rete di interscambi, quella zona di pacifiche transazioni, di circolazione sempre più libera di uomini, idee, capitali e merci, di integrazione economica che ha contribuito enormemente ad attenuare la virulenza dei nazionalismi e la ferocia degli antagonismi che in passato avevano condotto a guerre orrende".

Ora, però, anche con la moneta unica, il fantasma della guerra si riaffaccia sull'Europa.
"Ed è una sconfitta per chi, come me, è un tenace assertore del dialogo e del negoziato. Ma di fronte alla violenza e alla crudeltà esercitata sui deboli e sugli inermi diventa inevitabile il ricorso alla forza. La guerra nell'ex Jugoslavia conferma però l'idea che si debba procedere sulla strada tracciata dai grandi europeisti".

Cioè?
"Voglio dire che l'area interessata a questo conflitto coincide con una zona dell'Europa che è stata soltato lambita dal processo di integrazione economica che ha debilitato i nazionalismi dell'Europa occidentale. E mi conferma nell'idea che l'Europa economica e monetaria debba impegnarsi strenuamente per allargare i propri confini".

L'economia come veicolo di pace, insomma.
"Non voglio illudermi troppo. Ma certamente la disponibilità allo scambio e alla circolazione pacifica degli uomini e delle cose aiuta a superare l'idea rovinosa e foriera di disastri secondo cui si devono far coincidere i confini di un Paese con i confini etnici. E' un'idea pazzesca che rende impossibile la convivenza con le minoranze e crea antagonismi irriducibili. Ed è ora che gli italiani imparino a ricordare con orgoglio che con l'accordo De Gasperi-Gruber del 1946 nell'Alto Adige si è imposto un modello di convivenza difficile, problematico ma che a distanza di mezzo secolo dimostra la lungimiranza di un accordo che risolva nella pace conflitti e tensioni che sembravano irrisolvibili. Non dico che sono state tutte rose e fiori e ricordo quando, ancora negli Anni Ottanta, durante una mia visita in Austria come Governatore della Banca d'Italia fu considerato un evento il fatto che per la prima volta un ministro austriaco aveva varcato la soglia dell'ambasciata italiana. Ma poco a poco, con realismo e moderazione, grazie all'accordo per l'autonomia dell'Alto Adige, popolazioni di lingua e di cultura diverse hanno imparato a stare insieme e a riconoscersi reciprocamente. E non si può negare che con la moneta unica e con il trattato di Schengen, il fatto di potere attraversare la frontiera senza gli impedimenti di una volta e senza la dogana contribuisca ad attenuare ulteriormente le fortissime tensioni di una volta".

Ministro Ciampi, è un suggerimento per uscire dal ginepraio dei Balcani?
"E' la constatazione che un modello ha funzionato e che l'integrazione economica, ripeto, ha un'importanza decisiva per attenuare i conflitti".

Si sostiene però che la "globalizzazone" economica produca anomia, sbandameneto culturale e renda maledettamente più seducente il richiamo delle identità separate, la voglia delle piccole patrie che si pretendono pure ed omogenee.
"Per quanto mi riguarda, sono contro i nazionalismi, non contro le nazioni e da tempo dico di essere un europeo nato in terra d'Italia che non intende rinunciare ad essere italiano. Non voglio annegare ogni identità in una generica ''globalità'' ma trovo che sia una ricchezza convivere in un croguiolo dove si fondono metalli che hanno una radice comune di civiltà e di cultura mantenendo la propria individualità. L'Europa dell'Unione è anche il prodotto di due matrici fortissime come il Cristianesimo e l'Umanesimo che fanno tutt'uno con il nostro Paese".

E cosa risponde un artefice dell'Europa unita a chi dice che, raggiunta la moneta unica, gli entusiasmi europei si sono come spenti?
"Ho sempre detto che l'Europa non è l'età dell'oro, ma ritengo che gli enormi sforzi per stare in Europa siano stati tutt'altro che vani. Bisogna sempre chiedersi che cosa sarebbe accaduto all'Italia se non fosse riuscita a vincere la scommessa europea: le condizioni sono migliori di quelle che sarebbero state in assenza dell'Europa. Abbiamo la stabilità dei prezzi, bassi tassi di interesse, conti pubblici in equilibrio. Si tratta di mettere a frutto queste condizioni e alimentare con nuovo vigore la fiducia che è stata indispensabile per entrare in Europa".

Una curiosità, ministro Ciampi: domenica prossima andrà a votare per il referendum?
"Ho votato per la prima volta nel referendum su monarchia e repubblica nel '46. Da allora non mi sono mai astenuto dal diritto-dovere di votare. Ho intenzione di continuare su questa strada".

La Stampa, Domenica 11 Aprile 1999

 

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