«Caro Brugger non sei
capace di ascoltare»
Gli studenti rispondono alle accuse e rilanciano:
vogliamo la scuola bilingue
IL DIALOGO TRA I BANCHI
di Luca Fregona
BOLZANO. «Brugger dice che siamo pochi e non contiamo? Beh, dimostra scarso
spirito democratico e scarsa capacità di ascoltare. Come si fa a dire che le
idee degli altri non valgono nulla...». Parte così, con una riposta secca alle
dichiarazioni dell'Obmann della Svp, il convegno sulla scuola bilingue
organizzato dagli studenti della rivista «Il Ponte». Mauro Mazzio, 21 anni,
scalda la platea: «Noi siamo convinti che sia invece molto diffusa la voglia di
cambiare una situazione diventata insostenibile».
«Cavolo, se ci attacca così, vuol dire che abbiamo colpito nel segno...».
L'intervista di Brugger all'Alto Adige passa di mano in mano tra gli studenti
(un centinaio) riuniti nell'aula magna delle Iti. L'orgoglio di essere finiti in
prima pagina, di aver comunque smosso qualcosa è superiore alla rabbia per le
parole dure dell'Obmann della Svp. Certo, l'accusa di essere poco
rappresentativi e isolati brucia, ma passa anche in fretta e, soprattutto, non
intimorisce.
Dopo la precisazione di Mazzio, si va subito al sodo: la scuola del futuro,
dicono, deve essere bilingue perché il modello separato non funziona. Parlano i
redattori del Ponte e i rappresentanti delle consulte studentesche italiana e
tedesca. Senza traduzione. Ed è un mix di pragmatismo e idealismo, di voglia di
contare e di insofferenza per la società (e la scuola) divisa. «Non favorisce
- osserva Alessandro Farina -, un apprendimento soddisfacente della seconda
lingua, che è il presupposto numero uno per integrarsi con l'altro gruppo».
Non vogliono la rivoluzione ma semplicemente un'opportunità in più da
affiancare alle altre. Johannes Weibl, quinta scientifico al Torricelli: «Se
dopo 13 anni di scuola dell'obbligo non si impara il tedesco, deve esserci
qualcosa che non funziona. Vediamo perché».
Dalla platea li ascoltano diversi esponenti politici (una nutrita pattuglia di
Verdi e Alessandro Urzì di An), docenti, sindacalisti. C'è anche Kurt Egger,
frate cappuccino, professore ad Innsbruck, e fratello del vescovo. Una presenza
pesante. Poi tocca agli invitati, esperti di didattica e giurisprudenza.
Intellettuali critici come Sigfried Baur, Francesco Palermo, Andrea Felis e don
Paolo Renner, il secondo bersaglio di Brugger.
Baur attacca la scuola altoatesina: «Le sperimentazioni nelle monolingui sono
una cosa positiva, ma riguardano solo una minoranza di studenti fortunati,
concentrati nelle grandi città. Il resto del territorio ne è escluso». E
Palermo: «Il sistema delle scuole rigidamente separate è dannoso e
paradossale: iscrivere i propri figli nelle scuole dell'altro gruppo per fargli
imparere il tedesco o l'italiano porta all'assimilazione. Senza contare che il
rischio è la creazione di elite bilingui (dominanti) contrapposte a masse
monolingui emarginate dall'esercizio del potere». Palermo scardina anche il
presunto monolitismo dell'articolo 19. «Non vieta la scuola bilingue. Tutto
quello che porta ad una moltiplicazione dei diritti è un arricchimento e non un
impoverimento della tutela della minoranza». I ragazzi ascoltano. Alla fine
elaborano un documento: «Il monolinguismo - scrivono - è curabile. Disprezzare
la possibilità di imparare due o tre lingue in un contesto di pluralità
linguistica è un atteggiamento suicida».
Nel tardo pomeriggo Brugger ammorbidisce i toni: «Non ho mai detto che il loro
parere non conta».